Tematiche

Proposta choc in Israele
«Lasciate morire Sharon»
In coma dal 4 gennaio 2006, dopo un'emorragia cerebrale. Medici favorevoli, ma la famiglia è contraria

Ariel Sharon, in coma dal gennaio 2006 (Reuters)
TEL AVIV — I fiori sono pochi. Le visite degli amici, pochissime. Quelle dei medici, zero. Buon compleanno, Arik. Ottantuno, anche se non lo sai. E nessuno si chiede più dove stai, come stai. Al Dolly Steindling Pavillon, non è difficile trovare la stanza. Indicano il percorso a memoria: vada per la porta secondaria, passi la cafeteria, giri a sinistra finché non trova il cartello, «Neurologia B», e in fondo al corridoio vedrà che c’è un poliziotto di guardia, ecco, proprio l’ultima, quella è la camera di Ariel Sharon, «ma stia sicuro che la fermano prima ». Infatti: l’atrio bianco è come un sudario, unica macchia un mazzo di papaveri su una sedia, e c’è un auricolare umano a dire stop. Di Sharon ci si può fare un’idea, non un’immagine. Men che meno un’opinione.

Sul capitano ferito dagli inglesi, il comandante di tre guerre, l’uomo dei massacri di Sabra e Chatila, il pluriministro, l’undicesimo premier d’Israele, l’inventore del Muro, l’ideatore del Kadima e dello sgombero da Gaza, anche su di lui piomba, in quel letto di coma, la stessa domanda che ha piombato Eluana Englaro, Terri Schiavo, tanti comuni mortali quasi morti: è ora di staccare la spina? Il mito ingombra. E sgomberarlo, complicato. I ruoli si rovesciano e stavolta tocca ai medici, all’opinione pubblica dire che forse basta così, inutile accanirsi tre anni su un vegetale, mentre sono i familiari a mettersi davanti, sbarrare la porta, rispondere risoluti: giù le mani da Sharon. I preti non c’entrano, qui. Né si discute d’eutanasia: non solo, almeno. A sollevare il caso è un’associazione di consumatori, Ometz, che si chiede perché pagare la degenza d’un uomo che è passato per sette interventi al cervello, è ridotto a 50 chili, ha il respiratore attaccato 24 ore su 24, patisce infezioni al cuore che s’alternano a infiammazioni polmonari. I clinici dello Sheba Hospital la pensano allo stesso modo: «Confermiamo che le cure riservate all’ex primo ministro—dice un comunicato un po’ acido — sono superiori a quelle che avrebbe ricevuto un cittadino qualsiasi», e (aggiunge un neurologo sotto anonimato) questo significa che «un altro nelle sue condizioni sarebbe stato dimesso già tre anni fa».

La situazione del resto è la stessa dal 4 gennaio 2006, quando l’emorragia cerebrale stese per sempre Sharon. Quando non servirono le 29 ore di sala operatoria, e poi i mesi di medicine, di fisioterapia e di terapia dell’affetto, gl’innumerevoli tentativi di staccare piano piano il respiratore per vedere se poteva farcela da sé. Sharon ha aperto gli occhi una volta sola, qualche ora, il 31 maggio 2006, e comunque l’iride era fisso, quasi opaco. Nient’altro. Ai tre figli Gilad, Omri, Inban tanto basta, però: «Portarlo a casa oggi, significa staccare il respiratore. E lasciarlo morire». Secondo un sondaggio del sito Starmed.co.il, seimila intervistati, il 72% degli israeliani sta con la famiglia. Ma i consumatori di Ometz insistono: «Con tutto il rispetto dovuto a un uomo che ha dato tanto al Paese, perché non portarlo nel suo ranch del Negev, dov’è sufficiente un’infermiera? Perché l’ospedale deve sopportare i disagi dovuti alla presenza di tanti poliziotti? Perché quella stanza non può essere data a chi ne ha più bisogno? ». In realtà c’è dell’altro e l’associazione rispolvera la polemica sull’ingombrante famiglia che finì nei guai, e pure in carcere, per illeciti finanziari: «La camera di fianco a quella di Sharon — si legge in una lettera al ministero della Sanità — è occupata da uno dei due figli, Gilad, che la usa come un ufficio per gestire i suoi affari: riceve clienti, amici, gente del partito. Che c’entra questo con la malattia?».

Il Generale Bulldozer per ora resta dov’è. E aspettando quello vero, il funerale politico si sta già celebrando, nel silenzio della corsia e dei fidati scudieri d’un tempo. Tacciono la loquace Tzipi Livni e l’Ehud Olmert che fa due dichiarazioni al giorno. Muti gli eredi del Kadima, un partito che non s’è mai ripreso dalla perdita del suo capo e sta pure andando all’opposizione. Nel Ranch dei Sicomori, due ville bianche tra mucche da carne Simmental e colture biologiche, lo spazio per seppellire Ariel è pronto da anni: su un’altura che guarda il Negev, di fianco alla lapide di Lili, la seconda moglie. Anche l’orazione funebre è cosa fatta. L’ha recitata Shimon Peres, qualche giorno fa, parlando del ritiro da Gaza che proprio Sharon volle: «Forse fu un errore», ha detto il presidente. La prima manciata di terra. Su un leader sepolto vivo.

Francesco Battistini
28 febbraio 2009

Fonte: www.corriere.it 

Dall’incidente alla morte, addio lungo 17 anni
18 gennaio 1992
L'incidente
L'ultimo giorno della sua vita cosciente Eluana lo trascorre con l'amica del cuore, Laura Portaluppi. È il 17 gennaio 1992. Si conoscono da bambine, studiano lingue all'Università Cattolica di Milano, si vogliono bene. Passano il pomeriggio in palestra, camminano in centro, alle 21 di nuovo a casa. Le solite chiacchiere, ragazzi, vacanze, uscite di gruppo. Poi si lasciano con una promessa: «Ci svegliamo presto e ci vediamo domani per studiare insieme». Eluana annuisce e sorride, poi la bacia: «Saremo amiche per sempre?». «Sì Elu, per sempre. Sei tu la mia streghetta». La fissa di Eluana: che ogni cosa duri per sempre. Vuole essere rassicurata, lo chiede di continuo a Laura, lo chiede ai suoi genitori. Si abbracciano in piazza. Poi ognuno per la sua strada. Ma una volta a casa, Eluana cambia idea. È già in pigiama quando gli amici la chiamano per farsi raggiungere in un locale a Garlate, a pochi chilometri da Lecco. Una serata improvvisata. Eluana si riveste, prende l'auto. Non avverte Laura e neppure i genitori che sono in vacanza in Trentino Alto Adige per una settimana bianca. Papà Beppino è partito con l'utilitaria di Eluana, lasciandole la vettura più grande, una Bmw. Alle tre di notte Eluana è di nuovo sulla provinciale che collega Calco a Lecco, scortata da un amico, Andrea. È buio, si gela. L'auto slitta su una lastra di ghiaccio. Pochi secondi di terrore prima di finire contro un palo. Per Eluana è la fine. O meglio l'inizio di un'esistenza mai immaginata. I soccorsi arrivano quando il suo corpo è ormai immobile, lo sguardo fisso, senza riscontro i riflessi. Qui comincia il suo calvario. È l'alba del 18 gennaio 1992.

19 gennaio-18 febbraio 1992
La diagnosi
Eluana viene portata all'ospedale di Lecco. È ferita alla testa, il volto coperto di sangue. Papà Beppino e mamma Saturna hanno in programma di restare in Trentino ancora un giorno prima di spostarsi a Paluzza, pochi chilometri da Udine. È il paese di Beppino, nell'amata Carnia, dove, nonostante se ne sia andato per lavorare all'estero, ha sempre voluto tornare almeno due o tre volte all'anno. Così anche il 18 gennaio: il padre di Eluana si sveglia, fa colazione, pensa a come organizzare la giornata prima della cena in famiglia. Ma una telefonata gli cambia la vita: sono le 9.30, dall'altra parte della cornetta c'è suo fratello Armando che gli dice di chiamare l'ospedale di Lecco. Il presentimento è già realtà. Beppino e Saturna corrono a Lecco. Sanno, ma non parlano. Che Eluana è in fin di vita, che il suo cervello è danneggiato, che quelle sono le sue ultime ore. «Frattura dell'osso frontale e una frattura-lussazione della seconda vertebra cervicale; emorragia nell'emisfero cerebrale sinistro e lesioni in diverse parti del cervello». Papà Beppino ancora non è pratico di cerebrolesioni, ma una cosa è chiara davanti a quel letto del reparto di Rianimazione: Eluana non sarà mai più come prima. A Lecco Laura Portaluppi ancora non sa. Sveglia alle 8, apre i libri, aspetta Eluana e le sue brioches per fare colazione. Ma lei non arriva. Va a casa Englaro, un vicino le dice di andare in ospedale. Ci va, anche se ha tanta paura. Fuori dalla rianimazione ci sono già gli amici con i quali Elu ha trascorso la sera precedente. Si abbracciano, le lacrime sembrano non fermarsi mai. Dolore e angoscia. Ancor più nei giorni successivi. Nel quinto dopo l'incidente, i genitori di Eluana vengono informati che le verrà praticata una tracheotomia. Beppino si oppone, gli rispondono che non c'è bisogno del consenso informato. E così i medici le fanno un foro nella trachea. Dopo un mese Elu esce dal coma. Riapre gli occhi e null'altro: dorme, si sveglia, respira da sola, viene nutrita con un sondino.

1992-1994
Le coccole di mamma
Inizia così la storia di Eluana. Niente più feste, amici, vacanze al mare e in montagna, vestiti alla moda, programmi per il futuro. Dal quel 18 gennaio solo stanze d'ospedale, protocolli riabilitativi, test sanitari per approfondire le sue condizioni. Due anni di attesa per i genitori. Mamma Saturna va sempre a trovarla. I medici dicono che Eluana va stimolata, che bisogna parlarle. E lei lo fa, quasi tutti i giorni, anche quando per un po' la figlia viene ricoverata in una struttura di Sondrio. Ma la distanza non conta. Lei arriva e la vizia. Con pigiami, felpe e maglioncini. Non le fa mancare nulla, la copre di attenzioni. Anche Laura Portaluppi la segue. Le parla per ore, spera che prima o poi Elu si risvegli. E passano due anni prima di arrivare alla diagnosi definitiva: nel 1994 i medici dichiarano che Eluana Englaro si trova in stato vegetativo. Permanente, persistente, ma non è questione di terminologia. Beppino lo sa bene, anzi lo ha sempre saputo da quando l'ha vista in quel letto in Rianimazione: sua figlia non può più tornare indietro. Il suo «purosangue della libertà», la bambina che già a dieci anni aveva risposto ai genitori «ma che cosa c'entrate voi con la mia vita», sarà purtroppo soltanto un ricordo.

Gennaio 1994
Il trasferimento a Lecco
Nel 1994 Eluana viene trasferita nella casa di cura di Lecco gestita dalle suore misericordine. Per mamma Saturnia è una fortuna. Può passare più tempo con la figlia e continuare a coccolarla con i continui regali. Per non parlare delle religiose. In particolare suor Rosangela, la caposala, che tratta Eluana quasi fosse sua figlia. Per lei ha riservato una stanza al secondo piano, a poca distanza dalla sala operatoria dove è nata il 25 novembre del 1970.

1995
La battaglia legale
Ma papà Beppino non si rassegna, in testa ormai ha solo un'idea: rispettare quello che Eluana era e quello che lei avrebbe voluto. Una convinzione che diventa la spinta per la successiva battaglia giudiziaria. «Se non sono stato un buon padre, perché ero sempre lontano per lavoro, almeno adesso voglio essere all'altezza di mia figlia, facendo rispettare le sue volontà». Englaro lascia il lavoro e si dedica alla battaglia legale per «fare le volontà della figlia». La svolta arriva nel 1995, quando durante una trasmissione televisiva, vede per la prima volta Carlo Alberto Defanti, neurologo, che lo mette in contatto con la consulta di Bioetica di Milano. E da qui comincia il lungo percorso che arriva fino al 2009 e fino a Udine. Per Englaro è uno spiraglio che si apre nella solitudine di padre, incompreso dal mondo, perché «vuole provocare la morte di sua figlia». Non lo segue nessuno, anzi. Si sente come «un cagnolino randagio che abbaia alla luna», scriverà poi nel libro che racconta la sua storia, perché nessuno gli dà retta.

Le giornate di Elu
Non c'è una data precisa su questa pagina del diario di Eluana che racconta le sue giornate nella casa di cura di Lecco. Giornate uguali l'una all'altra, per 17 anni. Beppino va a trovare sua figlia, quasi ogni giorno. Soprattutto nel tardo pomeriggio quando è tranquilla, ormai prossima alla fine della sua giornata che comincia presto, alle 5, quando le suore si occupano dell'igiene del suo corpo. Le lavano denti e capelli, la bagnano, la cospargono di talco. Poi c'è la ginnastica, in maglietta e pantaloncini, per mantenere i muscoli tonici. In primavera o d'estate, la passeggiata in giardino. Eluana, nei primi anni, viene messa sulla carrozzina che scivola lungo le bordure fiorite nel cortile interno, lontano da occhi indiscreti. Poi viene riportata in camera e comincia la nutrizione. La sacca appesa alla destra del letto, un tubicino trasparente che le entra nel naso. Qui scorrono i nutrienti: 12 ore per alimentarsi, altrettante per idratarsi. Ogni giorno uguale all'altro. Senza sapere che suo padre ha cominciato a girare per avvocati e tribunali, con una richiesta che nessuno capisce. Mentre sua madre viene a trovarla, seppure senza speranze. Perché Beppino e Saturna sono d'accordo: Eluana così non avrebbe voluto vivere. Mamma Saturna lotta, poi esce di scena. Una grave malattia la costringe a entrare e uscire dagli ospedali. E si fa vedere fuori di casa solo se necessario.

1999
La prima sentenza
Nel 1996 Beppino Englaro viene nominato tutore della figlia. Ora ha anche la «patente» legale per far rispettare le sue volontà. Dal 1999 inizia la sequela di decreti e ricorsi, quasi un viavai tra il tribunale di Lecco e la corte d'Appello di Milano. La prima istanza per l'interruzione della nutrizione artificiale risale al 19 gennaio 1999. Il primo marzo viene dichiarata inammissibile. Pochi giorni dopo, il 14 marzo, Englaro ricorre in appello, ma i giudici rigettano il reclamo. Ci riprova nel 2002 a Lecco: il ricorso arriva fino alla Cassazione, senza successo. Nel 2005, con il nuovo avvocato Vittorio Angiolini, si rivolge ancora alla Suprema Corte, che risponde con un'ordinanza in cui ritiene necessaria la presenza di un curatore speciale. Così il 21 novembre 2005 viene nominata Franca Alessio, avvocato lecchese, ora nel ruolo di curatrice di Eluana. Un anno dopo, un altro tentativo viene fatto davanti al Tribunale di Lecco, che dichiara inammissibile la richiesta costringendo papà Beppino a tornare davanti alla Corte d'Appello milanese. Questa volta i magistrati reputano ammissibile il ricorso, ma non suscettibile di accoglimento. E si arriva all'anno decisivo: tutore e curatore ricorrono insieme in Cassazione ottenendo finalmente la sentenza che spianerà loro la strada per ottenere, nel luglio dell'anno dopo, l'autorizzazione al distacco del sondino.

9 luglio 2008
Il sì dei giudici
Gli anni passano. Eluana sempre dalle suore, suo padre su stampa e tv. Il suo caso colpisce la gente, affascina i giuristi, fa indignare il mondo cattolico e non. Dopo quasi dieci anni di iter giudiziario, il 9 luglio 2008 la Corte d'Appello di Milano riesamina la questione e autorizza la sospensione dell'alimentazione. Si può staccare il sondino perché sono state verificate le condizioni poste dalla Cassazione: lo stato vegetativo è irreversibile e ci sono le prove che in questo senso si muoveva la volontà di Eluana. Per Englaro è la vittoria più grande: «Ha vinto lo stato di diritto», ripete. «Ora Eluana può essere liberata», aggiunge.

12 ottobre 2008
L'emorragia
Ma il calvario di Beppino e di sua figlia non è finito. Englaro è costretto a vagare per hospice e ospedali alla ricerca di una struttura dove applicare la sentenza. Intanto la Lombardia gli vieta di farlo in regione, la Toscana si tira indietro, la procura generale di Milano impugna il decreto davanti alla Cassazione. L'ultimo passaggio legale: l'udienza è fissata per l'11 novembre davanti alle sezioni riunite. Ma il 12 ottobre Eluana sta male. Un'emorragia potrebbe portarsela via in poche ore. C'è attesa e forse anche speranza, che la tragedia si compia per risparmiarle una fine «forzata». Papà Beppino corre al capezzale, le suore pregano intorno. Se Eluana muore, dicono, sarebbe meglio per tutti. Il volto bianco, adagiato sul lato destro, le labbra che si muovono mentre il sondino continua a pompare e una flebo le attraversa il braccio. Eluana sta morendo. Ma a fine giornata l'emorragia si ferma, i valori sembrano in ripresa. Dopo quattro giorni è fuori pericolo. Ancora una volta il suo destino è appeso a una sentenza.

13 novembre 2008
Lo stop del ministro
Il 13 novembre la Cassazione risponde: Englaro può andare avanti. In Friuli c'è già una clinica che aspetta Eluana, due stanze che potrebbero accoglierla per il suo ultimo viaggio. Ma il ministero non ci sta. E mentre le suore sono già rassegnate, la valigia pronta con le felpe e le tutine comperate da mamma Saturna, e un'ambulanza è già partita per venirla a prendere, arriva uno stop da Roma: è il ministro Sacconi che si pronuncia con una direttiva sul divieto di non interrompere alimentazione e idratazione ai disabili. Come Eluana. E ricomincia l'attesa. Perché la struttura «Città di Udine» vuole riflettere sull'atto ministeriale. Per Beppino è un nuovo incubo. Per le suore quasi un miracolo. Eluana, invece, rimane inconsapevole nel suo eterno silenzio. Poi da Udine salta fuori una nuova soluzione: la casa di riposo «La Quiete» si dice disponibile ad accoglierla. La valigia è fatta. Questa volta non si torna indietro.

3 febbraio 2009
L'ultimo viaggio
Il 3 febbraio la barella con sopra Eluana viene sistemata su un'ambulanza dove sale anche il rianimatore Amato De Monte. Una corsa nella notte, quattro ore di viaggio. E una tosse forte, e catarro, tanto. Le suore si raccomandano di curarla. Ma a che serve. Alle 5.55 Eluana è a Udine. L'aspettano una stanza a piano terra, un letto in legno chiaro e le pareti azzurrine. Fuori le proteste di chi la vuole viva, e gli applausi di chi solidarizza con il padre. Tossisce ancora per tre giorni. Da venerdì smette di essere alimentata e idratata. I medici cominciano anche a sedarla.

9 febbraio 2009
La morte
Alle 20.10 Eluana muore. Suo padre l'ha vista l'ultima volta martedì.

Grazia Maria Mottola

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Intervista alla moglie di un "Grande Pescatore" prematuramente scomparso il 17 giugno 2001 all'età di 46 anni: Totò Dell'Apa.

Totò, così era conosciuto da tutti i paesani di Sellia Marina, era uno dei più appassionati pescatori, sia di mare che di acqua dolce.

Alla pesca dedicava gran parte del suo tempo libero e molti lo ricordano mentre montava e smontava la “barchetta” (divergente), strumento che si era costruito da solo per la pesca delle spigole. La pesca con il divergente o “barchino” è un tipo di traina molto particolare, in quanto per effettuarla non è necessario disporre di una imbarcazione ne tanto meno di un rumoroso motore, ci vogliono tuttavia un paio di buone gambe abituate a camminare poiché l’azione di pesca si svolge appunto camminando, spesso per chilometri, lungo la battigia.

Il teatro di questo particolare tipo di pesca è infatti la spiaggia, le prede sono numerosissime anche se la più ricercata rimane certamente la spigola.

Degne comunque di nota sono anche le frequenti catture di lecce, stella, pesci serra, sugarelli, rombi, occhiate, aguglie e tracine. E’ una sorta di catamarano costruito in compensato marino, in grado di uscire verso il largo, superando anche onde di discrete dimensioni senza rovesciarsi e portandosi dietro il trave con le relative esche. Totò aveva infatti una predilezione per la pesca delle spigole, che gli consentiva appunto lunghe camminate sulla battigia, da solo o in compagnia di altri “paesani pescatori”, che erano sempre pronti ad accorrere alla sua chiamate, fosse pure alle 4:00 del mattino.

Inoltre conosceva esattamente i periodi per pescare i vari tipi di pesci,e quando pescava quelli più piccoli, preferiva ributtarli in mare.
Aveva un’attrezzatura imponente che oggi viene accuratamente conservata dalla sua famiglia, insieme a tutto il materiale di documentazione cartaceo e multimediale.
A volte portava con sé anche i suoi due figli, oggi ormai adolescenti, ai quali ha trasmesso, in particolare alla figlia femmina, la sua grande passione per la pesca.


Uno dei tanti divergenti che si era costruito da solo    Uno dei tanti divergenti che si era costruito da solo.






 
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Eventi. mostra a Genova dedicata a De André
Il calcio, la tv. L’altro Fabrizio sapeva godersi le giornate di «bonaccia»
di Ivano Fossati
NOTIZIE CORRELATE
La mostra, a Genova
Fabrizio De André
Questo articolo di Ivano Fossati è apparso sulla copertina dello speciale Eventi del Corriere della Sera dedicato alla mostra su Fabrizio De André per il decennale della scomparsa che si apre il 31 dicembre al Palazzo Ducale di Genova.

Non vado pazzo per le celebrazioni, le beatificazioni, le rievocazioni. Normalmente ne sto lontano, perché considero sacrosanto solo il ricordo strettamente personale dei fatti e delle persone. Quello, per intenderci, che si conserva da soli, in silenzio. Ma certo si può ammettere qualche legittima deroga a tutto questo. Fabrizio De André è stato ricordato e celebrato, forse ogni singolo giorno dal momento della sua scomparsa, come non era accaduto prima a nessun grande artista italiano. Questo testimonia il vuoto tangibilmente grande che ha lasciato nel cuore e ancor più nel bisogno di conforto dei molti che lo hanno amato. Piccole e grandi celebrazioni avvenute un poco dovunque in giro per l’Italia. Tributi sempre più o meno accorati e a distanza di dieci anni non ancora liberati del tutto dall’ombra accompagnatrice del rimpianto. Perfino la sorpresa, per la perdita di quell’uomo così discreto ma così presente nella storia dei sentimenti di questo Paese, si è fatta sentire fino all’ultimo, cioè fino a oggi. Così le celebrazioni sono state spesso vagamente lacrimose.

La memoria di Fabrizio ha diritto oggi a qualcosa di diverso, ne sono più che convinto. Merita più delle agiografie, delle biografie, delle scontate raccolte di canzoni rimasterizzate e reimpacchettate. Merita soprattutto di sfuggire all’aneddotica prêt à porter cui vengono fatalmente adattate le figure dei grandi artisti quando non sono più in grado di confutare o di precisare. Quando gli amici, i compagni di strada, quelli che sanno, che hanno visto, quelli che c’erano, si moltiplicano a dismisura.

«Fabrizio oggi è di tutti» dice Dori Ghezzi con tollerante senso della realtà. Purtroppo nessuna seriosissima esegesi, nessuno scandagliamento della sua opera ci restituisce la complessità, o se si preferisce, la completezza del carattere di De André. Così, personalmente, ho più cara nei miei ricordi la parte di lui che lo faceva «parlare basso», da buon genovese a un altro genovese. Niente lessico da libro stampato, nessun massimo sistema, ma frequenti risultati di partite di calcio. Il Genoa. E magari qualche gioioso apprezzamento per rotondità muliebri fuggevolmente offerte da programmi tv di taglio basso. Garbato e sornione s’intende, in salsa fredda, alla ligure. Un mondiale di calcio, il festival di Sanremo, le televendite. Qualche lieve ubriacatura. Un po’ di birre a Sestri Levante per festeggiare il testo di «A Cimma», che ci era sembrato irraggiungibile. E improvvisamente le ginocchia di tutti e due che non reggono più per tornare a casa. Perché non erano più gli anni settanta. Era questo un De André «semplificato» che la gente avrebbe amato e compreso ancora di più, se è mai possibile. Le leggerezze dette a piena bocca umanizzano. Sono un dono che il cielo fa agli uomini di grande intelligenza, i quali se vogliono ne usano, come per cercare riposo. Alcuni che idealizzano e rendono monumentali uomini e artisti, secondo un’immagine che non ammette imperfezioni, non capirebbero.

Fabrizio era vitale e come ogni persona del suo tipo era capace di scarti improvvisi, di spiazzamenti all’interno del suo stesso essere. Figurarsi all’esterno, cioè stargli vicino. Giornate intere di bonaccia, calma quasi piatta, e poi improvvise scosse elettriche con rincorse verso l’alto o verso il basso. In alto lo spirito filosofico e in basso il fondo dei garbugli umani. Secondo l’umore, secondo la giornata. Troppo terribilmente intelligente per definirlo un buono. Ma quest’ultimo era il Fabrizio che preferivo. Invece il grande artista, quello come tutti se lo sarebbero aspettato, lo conoscevo bene. Ero stato un suo ammiratore molto prima che un suo amico. A poco più di vent’anni avevo letteralmente consumato sul piatto del giradischi «Non al denaro, non all’amore, né al cielo» e «Storia di un impiegato».

Tenevo in considerazione quei due album al pari di quelli di Jimi Hendrix o degli Stones. Nessuna differenza. Come se la musica di Fabrizio fosse arrivata anch’essa dall’America, da Plutone o da un pianeta ancora più lontano, sul quale fosse lecito scrivere canzoni in italiano. L’eroe che aveva tradotto in musica «Spoon River», allontanandola dalla noia delle antologie scolastiche lo conoscevo già. Ora a distanza di anni, durante la scrittura di «Anime salve» mi piaceva di più passare quei lunghi pomeriggi piemontesi con un Fabrizio quieto e sorridente, accovacciato a terra davanti a un apparecchio radio degli anni sessanta, in attesa dei risultati delle partite di calcio, la domenica pomeriggio.

«Il Genoa, il Genoa, cos’ha fatto il Genoa»? Ma la sua squadra del cuore non brillava granché in quel periodo. Forse questo decennale e la grande mostra che si inaugura a Genova non faranno di Fabrizio De André un immobile monumento. Forse a Genova la marea di gente che gli vuole bene potrà servirsi da sé a piene mani e ubriacarsi di dati, ricordi e racconti digitali. In mezzo a tutte quelle immagini io dico che dovrà essere come un prolungato abbraccio festoso. Senza più ombra di rimpianto. Anche per via di quella gioia che infonde, soprattutto nei ragazzi, il poter rovistare navigando nella tecnologia. E la tecnologia risponde nell’unico modo che sa: raccontando perfettamente il passato, ma con la voce del futuro.

di IVANO FOSSATI

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Finite le speranze, finito il tempo, finito tutto! Tra 15 giorni circa dovrebbe essere finito tutto!

Fonte: www. corriere.it


MILANO - «Il decreto non ha bisogno di alcuna ulteriore certificazione di esecutività perchè la legge dice che tutte le volte che un provvedimento giudiziario non è più soggetto a impugnazione diventa definitivamente esecutivo». Lo ha detto il giudice della prima sezione civile della corte d'appello di Milano, Filippo Lamanna, estensore del decreto con cui, lo scorso luglio, Beppino Englaro era stato autorizzato a interrompere l'alimentazione e l'idratazione artificiali che da quasi 17 anni tengono in vita la figlia Eluana, in stato vegetativo permanente.

IMPUGNAZIONE IMPOSSIBILE - Il giudice ha spiegato che, nel caso specifico, il decreto del 9 luglio era già esecutivo e che, dopo il provvedimento dello scorso 11 novembre della Cassazione, che ha dichiarato inammissibile l'impugnazione della Procura Generale, è diventato definitivamente esecutivo. Comunque i legali di Englaro, ha precisato il magistrato, eventualmente possono chiedere alla cancelleria della Corte d'appello una attestazione che il provvedimento non è più soggetto a impugnazione e, di conseguenza, è esecutivo.

L'INTERVENTO DI SACCONI - La precisazione del magistrato è una risposta indiretta al ministro della Salute, Maurizio Sacconi, che aveva diramato un atto di indirizzo per impedire di fatto alle strutture sanitarie private di praticare l'interruzione della idratazione e della nutrizione ai pazienti che si trovano in stato vegetativo. Un'azione, quella del ministro, che ha raccolto il plauso degli ambienti cattolici e delle forze politiche del centrodestra, ma che ha ricevuto critiche dal mondo laico e dai gruppi che si battono per i diritti civili. Lo stesso ministro è tornato ad intervenire dopo la diffusione delle parole di Lamanna da parte dei media, facendo presente che «certi comportamenti difformi da quei principi determinerebbero inadempienze con conseguenze immaginabili». Sacconi lo ha detto replicando da Bruxelles ai giornalisti gli chiedevano se la Casa di cura «Città Udine» - dove Eluana deve essere trasferita - rischia di perdere la convenzione con il servizio sanitario nazionale se esegue la sentenza della Cassazione per lo stop all'alimentazione forzata.

LA CURATRICE - Era stata la curatrice speciale di Eluana, l'avvocato lecchese Franca Alessio, a ipotizzare uno scavalcamento dell'atto di indirizzo del ministero mediante una formula esecutiva del decreto emanato dalla Corte d'Appello di Milano». E lo aveva fatto dopo le parole di Claudio Riccobon, l'amministratore delegato della clinica «Città di Udine» presso la quale era stato già disposto il trasferimento della ragazza. : «Ci dobbiamo tutelare - ha detto Riccobon - perchè ora il problema è eminentemente giuricio, legislativo e politico. Ma noi siamo pronti. Una equipe di medici esterni, composta da 20-25 professionisti, è già organizzata per accogliere Eluana e per assisterla, in modo gratuito e volontario, nel distacco dell'alimentazione artificiale. Siamo una strutura privata, convenzionata con il Servizio sanitario regionale e nazionale e quindi dobbiamo essere molto sicuri di non incorrere in errori o, peggio, in violazioni di legge. Anzi noi vogliamo agire nel pieno e totale rispetto delle sentenze, delle leggi e dei regolamenti».

IL DISTACCO - Una volta espletate le formalità legali, il «percorso» del distacco dell'alimentazione artificiale alla quale Eluana è sottoposta da 17 anni sarà abbastanza lungo. I sanitari parlano di circa 15 giorni. Poi la donna sarà sepolta a Paluzza (Udine), in Carnia, terra d'origine della famiglia, cui la giovane era molto legata. E forse la donna potrà finalmente trovare un pò di pace lontano dal chiasso del dibattito politico-legale di questi mesi.

In questi tempi di eutanasia, questa sembra una bella lezione di fede nella vita

Fonte: www.portaledibioetica.it

ASPETTA 2 GEMELLE SIAMESI
«MA NON VOGLIO ABORTIRE»



Laura Williams, britannica, ha appena 18 anni e sta per diventare mamma. Sarà la più giovane madre, nel Regno Unito, di due gemelle siamesi che dovrebbero nascere questa settimana con parto cesareo. Una nascita non priva di rischi. Solo una coppia su 4 di queste gemelle speciali, che condividono parti del loro corpo e organi, sopravvive nelle prime 24 ore. Eppure Laura non si arrende e vuole essere ottimista: ha deciso di non abortire, nonostante il consiglio dei medici, e ha scelto i nomi delle piccole: Faith e Hope (i beneaugurali Fede e Speranza). La donna e il marito, Aled, stanno per volare a Londra, dove avverrà il cesareo. Le nasciture sono unite dallo sterno all'ombelico, ma ognuna ha il suo piccolo cuore che batte separatamente. Laura, arrivata alla 35esima settimana, racconta sul 'Mail on Sunday' che i medici le avevano prospettato la possibilità di considerare un'interruzione volontaria di gravidanza, dopo aver visto le condizioni delle bimbe con un'ecografia alla dodicesima settimana. La chance di sopravvivenza di gemelli siamesi sono piuttosto basse e spesso i camici bianchi sono costretti a sacrificarne uno per salvare almeno chi ha più probabilità di superare il parto e i giorni successivi. «A volte penso al peggio - confessa la giovane futura mamma - così sono preparata a qualunque cosa possa accade. Ma se andrà tutto bene, sarò davvero felice. Se sono venute al mondo e hanno fatto tutta questa strada, dobbiamo sperare che facciano anche il resto», afferma riferendosi alle piccole.
La donna racconta che al momento della diagnosi, al Royal Hospital di Shrewsbury, la cittadina in cui vive, il medico ha consigliato a lei e al marito di tornare a casa e valutare la possibilità di un aborto, mentre un'infermiera ha restituito loro le 10 sterline per l'ecografia. «Sul momento ci siamo chiesti perchè - prosegue - ma poi abbiamo capito che per lo staff dei sanitari era meglio per noi non avere nessuna immagine che potesse ricordarci le piccole». Poi si sono rivolti a un altro medico, che ha dato più speranze sul futuro delle gemelline. Anche se tutto andrà bene e la famiglia riuscirà a lasciare l'ospedale con entrambe le bimbe, le difficoltà non mancheranno. «Abbiamo paura - confessa il futuro papà Aled, 28 anni - che la gente le chiami 'mostrì. Ma siamo una famiglia di combattenti e abbiamo deciso di andare avanti». La coppia ha già un'altra bimba, di appena 18 mesi.



25/11/2008



http://www.leggonline.it/articolo.php?id=12456#IDX

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Non ho parole ..... e ormai non servono più

Fonte: www.corriere.it

La Cassazione ha respinto il ricorso della procura di Milano e quindi l'alimentazione e l'idratazione può essere legalmente sospesa a Eluana Englaro. La Suprema Corte ha accolto la richiesta del procuratore generale che chiedeva l'inammissibilità del ricorso della procura del capoluogo lombardo contro la Corte d'appello di Milano, la quale aveva concesso lo stop all'alimentazione della donna (oggi 37enne) in coma irreversibile da quasi 17 anni.

IL PADRE - «È la conferma che viviamo in uno stato di diritto», ha commentato il padre di Eluana appena conosciuta la decisione delle Corte di Cassazione.

STOP ALIMENTAZIONE A GIORNI FORSE A UDINE - Potrebbero cominciare entro pochi giorni in una delle strutture già individuate, una delle quali a Udine, le procedure per staccare l'alimentazione a Eluana Englaro. Lo ha detto il professor Carlo Alberto Defanti, il neurologo che ha in cura da anni la donna. «Di sicuro non sarà in Lombardia», ha precisato il medico riferendosi alla presa di posizione della Regione, che aveva reso noto che non avrebbe messo a disposizione strutture né personale. «Tutto avverrà come minuziosamente aveva stabilito la Corte d'appello di Milano».

Tredicenne dice no all'accanimento terapeutico ne ho abbastanza di ospedali e voglio tornare a casa». i genitori: «siamo con lei»
Tredicenne inglese rifiuta il trapianto
I giudici: «Ha diritto di morire»
Hannah, malata terminale di cuore, ha ottenuto l'autorizzazione a non sottoporsi ad intervento chirurgico


MILANO - Il trapianto di cuore che l'ospedale voleva imporle, con un buon esito le avrebbe probabilmente salvato la vita, costringendola tuttavia a curarsi per tutta la vita. Invece Hannah, una ragazza inglese di 13 anni, preferisce «morire con dignità, a casa con i suoi genitori», come riporta la Bbc. «Mi hanno spiegato tutto, ma io non voglio affrontare altre operazioni - ha detto la ragazzina al Daily Mirror. - Ne ho abbastanza di ospedali e voglio tornare a casa». Ora la ragazzina ha vinto la sua battaglia per il diritto a morire e a respingere le cure. L'Alta Corte infatti ha respinto, con una decisione destinata senz'altro a far discutere, la richiesta dell'Herefordshire Primary Care Trust, dopo che l'ufficiale per la protezione dell'infanzia aveva accertato «l'irremovibilità della ragazza nel non subire l'intervento chirurgico».

I GENITORI: «SIAMO CON LEI» - Hannah Jones, 13 anni e un buco nel cuore, non vuole il trapianto perché «potrebbe non andare bene, e in tal caso sarebbe costretta a seguire costantemente cure e medicinali», scrive la Bbc. La sua volontà, espressa chiaramente, è quella di «interrompere le cure e trascorrere ciò che le rimane da vivere nella sua casa». Con lei in questa scelta anche i genitori. «Non ha preso questa decisione a cuor leggero - ha raccontato suo padre Andrew, 43 anni -: Hannah ha scelto di voler vivere e morire con dignità a casa, con i suoi genitori. È oltraggioso che il personale dell'ospedale presuma che noi non abbiamo a cuore l'interesse di nostra figlia. Hannah ne ha già passate tante, visto che in passato ha sofferto di leucemia e il suo cuore è stato indebolito dalle cure che ha dovuto affrontare dall'età di cinque anni».

L'ODISSEA DI HANNAH - La ragazzina ha passato gran parte degli ultimi otto anni in ospedale, dove l'hanno curata per leucemia e cardiomiopatia. Il suo cuore è in grado di pompare sangue solo a un decimo delle proprie capacità e la ragazzina ha già subito tre interventi di applicazione di pacemaker. Secondo i medici, senza il trapianto le restano sei mesi di vita. «Hannah deve essere stata molto convincente, perché dopo aver consultato i legali, le autorità hanno fatto sapere che non avrebbero intrapreso alcuna azione giudiziaria», ha detto al Daily Mirror il padre della ragazza. «Lei sa che può cambiare idea in qualunque momento e mettersi in lista d'attesa per un trapianto». La madre della ragazzina, ex infermiera di terapia intensiva, è del parere che il trapianto non sarebbe risolutivo e che in capo a 5 anni la figlia avrebbe probabilmente bisogno di un altro cuore. «Ha subito parecchi traumi e sono contenta della decisione che ha preso. Credo che per lei sia giousto». Nella lettera che ha scritto alla famiglia, il Primary Care Trust dello Herefordshire afferma che una azione giudiziaria è parsa inopportuna: «Hannah sembra aver capito la gravità della sua situazione. È sembrata consapevole del fatto che sarebbe potuta morire», si legge nella missiva.

 

Fonte: www.skynews.it  

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E poi

E poi fu la notte e il giorno e l'aria, il sole, la vita
Genesi oscura di un seme, fermento di forza infinita
E il passero spiega le ali appena scaldate dal sole
Si innalza a guardare lontano e aquila fu la sua prole
Costretto a vincere il tempo e le fiere
Per sopravvivere osasti l'ignoto
Creasti il mito e le dolci chimere per rendere tutti i giorni di vuoto
Il mito creato da te contro i forti per dare agli oppressi il riparo dai torti
Scopristi le terre ignorate per dare più spazio ai fratelli
Scalasti le vette dell'arte
Volasti assieme agli uccelli
Salisti più in alto nel cielo cercando altri mondi lontani
Rompesti sempre quel velo violando gli spazi più arcani
Fu uomo chi diede la vita al progresso
Fu uomo chi vinse con piccola forza
Fu uomo chi seppe combatter se stesso
Fu uomo chi ruppe la ruvida scorza che copre l'amore, che cambia gli istinti
Spezzando gli spazi dai loro dipinti
E l'uomo creò un altro uomo generando da sempre se stesso
Regalando ai suoi figli quel dono che divenne man mano il progresso
E mettesti la macchina in moto, non sapendo che cosa facevi
Come il mago che sfida l'ignoto, innocente perché non sapevi



Questo è un testo di Pierangelo Bertoli, non sembra sia stato scritto solo ieri?

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