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Parlare di Bisogni Educativi Speciali nella scuola italiana è semplice nelle linee generali, ma un po’ più complesso nei particolari. Tale complessità, che emerge subito dopo avere tradotto il più celebre acronimo (B.E.S.) usato per descrivere l’area in questione, deriva dall’inevitabile approfondimento che il lettore è chiamato a compiere affinché possano chiarirsi le ragioni che hanno spinto la scuola, ovvero le Istituzioni, a porre in atto un simile apparato di interventi orientati all’integrazione(oggi parliamo di processo inclusivo) degli alunni con problemi psicofisici, di apprendimento e socio-relazionali. Questo percorso è iniziato 30 anni fa e si può affermare, con un certo margine di certezza, che i risultati, specialmente nella realizzazione dell’architettura organizzativa flessibile, siano evidenti. Tuttavia, data la complessità della sfera educativa e dell’istruzione e le inevitabili applicazioni di metodi e didattiche personalizzate e individualizzate, di codifica delle peculiarità sotto il profilo psicologico di ogni singolo alunno, di dinamiche di gruppo, di capacità e motivazioni del corpo docente, di aspettative della società e dell’ambiente di riferimento anche in una cornice non solo più micro ma macro-sociale, oltre che di applicazione del diritto all’istruzione di tutti gli alunni e, nel caso in questione, di quelli con difficoltà, si evince che il percorso sarà sempre incompleto e suscettibile di ulteriori miglioramenti. Ciò che rimane da aggiungere in queste poche righe introduttive ai Bisogni Educativi Speciali è che essi fondano la loro ragion d’essere su almeno due elementi di pianificazione: la Direttiva ministeriale sui BES – Bisogni Educativi Speciali (27/12/2012) e il concetto di Bisogno Educativo Speciale fondato su base ICF (Classificazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) che fa parte della famiglia più ampia delle Classificazioni internazionali dell’OMS.

(Dott. Silvio Corea)

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