Tematiche

Si tratta di uno dei lavori svolti dall'allieva Martina Umbrello per l'Open Day 2018 del Liceo Scientifico L. Siciliani di Catanzaro

 

S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo; 
s’i’ fosse vento, lo tempesterei; 
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; 
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo; 

s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo, 
ché tutti cristïani imbrigherei; 
s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei? 
A tutti mozzarei lo capo a tondo. 

S’i’ fosse morte, andarei da mio padre; 
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui: 
similemente farìa da mi’ madre. 

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui, 
torrei le donne giovani e leggiadre: 
e vecchie e laide lasserei altrui. 

 

Cecco Angiolieri, autore senese vissuto nel XIII secolo, fu uno dei maggiori esponenti della poesia comico-parodica, finalizzata a contraddire e ribaltare i canoni della cultura dominante, caratterizzata, in questo caso, dallo stile rarefatto, dagli ideali sublimi  del “dolce stil novo”. La lirica dell’Angiolieri “S’i fosse foco” è un sonetto, formato da due quartine e due terzine, aventi schema rimico ABBA CDC DCD. La tematica principale della poesia è, appunto, la negazione degli equilibri, delle figure inconfutabili di riferimento morale e sociale dell’epoca: la Divinità, il papato, l’impero, la famiglia. L’autore rappresenta le aspirazioni, perennemente inappagate, della classe più umile e trascrive tale desiderio di riscatto e cambiamento, provando ad immaginare quali sarebbero i suoi comportamenti se si trovasse in una posizione di potere e autorevolezza. I modi verbali utilizzati sono in prevalenza il condizionale e il congiuntivo, che esprimono  possibilità, incertezza; se a ciò si aggiunge la decisa ironia della terzina finale ,si capirà che le minacce terribili di cui il poeta ha cosparso il suo componimento non esprimono una reale tendenza alla sovversione dell’ordine sociale ma, piuttosto, un semplice gioco letterario, che si rifà alla poesia goliardica latina.

Secondo il critico letterario Bachtin, l’esistenza di un filone culturale sommerso e parallelo rispetto alla corrente culturale principale non è una peculiarità del Basso Medioevo ma, piuttosto, una tendenza che da sempre caratterizza ogni epoca storica, interessando ogni espressione creativa e artistica. La predisposizione della classe popolare alla materialità, alla trattazione di tematiche che nulla hanno di spiritualizzato svolge una funzione di valvola di sfogo sociale, consistente nella negazione temporanea dello status quo, per poi tornare all’ equilibrio iniziale. Il “riso carnevalesco” è, dunque, un riso ironico, quasi di autoinganno, non allegro, disinvolto o spensierato, ma consapevole della propria limitatezza temporale, conscio del proprio utopismo. E De Andrè riesce alla perfezione a interpretare con la musica l’intento e la predisposizione del poeta ma anche di un’intera classe sociale,  attribuendo al sonetto in questione non rabbia distruttiva, bensì un senso di inquietudine, insoddisfazione e malinconia.

Si tratta di uno dei lavori inseriti nella scaletta dell'OpenDay 2018 della classe III F del Liceo Scientifico "L. Siciliani" di Catanzaro, all'interno del lavoro svolto su "La Buona Novella" di De André e i Vangeli Apocrifi.

 

L’attesa del deserto

 

Rossa terra baciata dal fuoco,

speculare è il rosso del cielo.

Il silenzio urla, poi tace un poco;

vento come criptico messaggero.

 

Ondosi profili di sabbia

delineati da un nero sole:

sembra quasi che mai abbia

veduto nascere un fiore.

 

Una stella di cenere brilla,

è questo il mistero del vento:

curva clessidra, vitreo sigillo

forgiato dal fiore del tempo.

 

la sabbia vi scorre a grani,

cela la Vita, attende il Domani.





Un’altra canzone della Buona Novella di De Andrè  tratta l’episodio del ritorno di Giuseppe a Gerusalemme. Egli si trova ancora nel deserto, luogo carico di significati simbolici: la desolazione, il silenzio, il suolo arido e quasi inospitale rendono l’atmosfera carica di attesa. L’attesa  del ritorno alla quotidianità e alla famiglia, per lui, l’attesa di una Vita per Maria. Sembra che la distratta diffidenza del contesto umano e il carattere inospitale del paesaggio in cui si trova Giuseppe lascino presagire qualcosa, così che l’attesa quasi si trasforma in ansia. E’ una sorta di contrasto tra l’atemporalità del deserto e il dinamismo del ritorno. Il tempo, dunque, assume un valore fondamentale e, in particolare, la posteriorità. Il Futuro, di cui anche il contesto spaziale sembra essersi fatto messaggero, non ha nulla di immediato, effimero e umano; Giuseppe, tuttavia, anche dopo aver reincontrato Maria, deve ancora realizzare tutto ciò, ne deriva in lui un senso di sconcerto, di smarrimento.  



Sottocategorie

Materiali utili

Top